17.5.08

dacosanascecosa: un laboratorio di re/design

Son sicuro che Bruno Munari non me ne vorrà se uno dei miei lavori preferiti mutui il titolo di un suo libro. Da cosa nasce cosa inizia proprio con questa frase.

Produzione senza appropriazione
Azione senza imposizione di sé
Sviluppo senza sopraffazione.
Lao Tze (IV sec. a.C.)

dacosanascecosa è un laboratorio di re-design, aperto nel 2001 ad Avellino con Stefano Loffredo. Alla base del lavoro c’è fondamentalmente un guardare alle cose. La realtà è fatta di oggetti che non aspettano altro che di essere manipolati. Flessibilità, adattamento, spiazzamento d’uso sono concetti chiave. Non si parte da un’idea e la si realizza a tutti i costi.
Non si tratta di inventare nuovi oggetti, ma reinventare quelli esistenti allargandone le possibilità operative. Assioma è usare l'esistente. Questo è un concetto etico ed ecologico molto importante ai giorni nostri dove lo scopo è arrivare a produrre zero rifiuti. Occorre minimizzare i nuovi interventi nell’esistente. Prima di pensare a qualcosa di nuovo, occorre valorizzare quello che già c’è. Non è soltanto una questione ecologica. Si tratta di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Questa è una legge economica fondamentale. L’arredo del laboratorio, ad esempio, è stato realizzato con tavole in legno per casseforme. Il più delle volte esse sono state assemblate senza operare alcun taglio.

Usare l'esistente, come in questo caso. L’oggetto di partenza, la cazzuola, lo trovate in qualsiasi ferramenta: bisogna solo scegliere la forma che più vi piace. Ma questa è l’unica concessione che faremo alla decorazione. Osserviamola attentamente: c’è una piastra di ancoraggio, un gancio ed un supporto in legno. Tutto quanto occorre per realizzare un appendiabiti da parete. Mancano soltanto i fori e dei tasselli per ancorarlo alla parete. Beh, occorre fare un piccolo sforzo e non so quante punte di trapano bisogna rovinare! Il risultato è l’attaccazzuola. Anche il lavoro di definizione del nome del nuovo oggetto non è meno divertente del lavoro di rielaborazione dell’oggetto stesso e, peraltro, segue il medesimo principio, solo che la manipolazione, ora, è di tipo linguistico.
Se pensiamo che lo stesso oggetto, l’attaccazzuola, imprimendo una semplice rotazione, diventa una cacazzuola, ovvero un portarotolo igienico.
Dopo l’oggetto va pensato il packaging, anch'esso improntato alla massima economia. L’oggetto ha già un manico, ed è inutile prevederne un altro per il trasporto. La cosa da cui proteggersi è la piastra di metallo: due fogli di cartone chiudono a sandwich la piastra e i tre pezzi sono tenuti insieme da tre fermagli. A tutto questo, naturalmente, vanno aggiunti i tre tasselli necessari.
L’oggetto di origine di questa lampada è già meno riconoscibile. Come suggerisce il disegno, è un manicotto di lavatrice. Il materiale è una gomma morbida, isolante, perfettamente idonea al nuovo uso. Inoltre ha una particolare qualità tattile. Per questa ragione l'interruttore è stato inserito all’interno del tubo. Per l'accensione occorre tastarlo e cercare l’interruttore. La forma particolare, a manico d’ombrello, permette sia l’utilizzo da tavolo che da parete. Qui vediamo una performance della nostra lampada con l’attaccazzuola. Il nome della lampada, tubìornotobì, gioca parafrasando Amleto, chiedendosi se sia in fondo un tubo o no.
Prendiamo una trappola per topi. Quante lampade esistono in commercio con una gabbia per evitare di toccarne il bulbo incandescente? Anche in questo caso l’intervento è stato minimo. E' stato sufficiente fissare il portalampada alla gabbia. Lo sportellino di accesso alla trappola permette la sostituzione della lampadina quando necessario. Questa è la mickie/light. Di questa lampada ne esiste anche una versione da parete: la bat/light.
Questo è un filtro per la passata di pomodori. Poggia sul piano con la bocca più ampia che offre l'appoggio più stabile. Il portalampada è, invece, sistemato sulla bocca stretta del filtro che ha una forma tronco-conica. Un tappo di sughero per damigiane è la soluzione migliore per chiudere la bocca! Il sughero è un materiale isolante e facilmente lavorabile. Il nome è to/light e gioca sull’assonanza con tomate.

Al rastrello è stato tolto l’elemento metallico di raccordo con il manico in legno. Questo non serve. Servono, però, i buchi che permettono di fissare il rastrello alla parete. In questo modo diventa un gancio multiplo. Niente di più semplice. Esistono possibilità diverse di utilizzo. Può diventare, infatti, un portacalici in vetro; in questo caso, però, i denti del rastrello sono rivestiti con un tubo di gomma morbida trasparente, che impedisce al vetro di graffiarsi a contatto con il metallo. Il rastrello, posizionato ad una determinata altezza su di una mensola, diventa un fermalibri. Il nome, rake-up, gioca sulla traduzione inglese di rastrello e il termine up, che tiene su.
Questa borsa in gomma era un tappetino da bagno, anzi lo è ancora. La borsa si ottiene ripiegando su se stesso il tappetino tre volte. La chiusura laterale è realizzata con delle clips meccaniche che, sganciandosi, permettono di riportarlo alla condizione di partenza. Il manico, coerentemente, è realizzato con dei tappi da lavandino e un tubicino in gomma morbida trasparente, più piacevole al tatto, riveste la catenina. Bagno in inglese si dice bath e sostituendo la t con g si ottiene bagh, che significa più o meno borsa.
Per questo tipo di borse in stoffa ho adottato lo stesso principio: parto da pezzi prefiniti per limitare i tempi di lavorazione (tovaglioli, cuscini, grembiuli, tappetini, ecc.). La sfida è ridurre al minimo le cuciture. Prima era mia madre a cucirmele, ma da un pò di anni sono io stesso a realizzarle.
Questi sono semi da viaggio. Semi di ortaggi da spedire ad amici. Ho ripensato semplicemente il packaging. La serie si chiama piantala!, in risposta ad un verso di Fernando Pessoa che si lamenta di... non saper essere pratico, quotidiano, nitido, non sapere avere un posto nella vita, un destino fra gli uomini, un’opera, una volontà, un orto

Quando qualcuno dice: questo lo so fare anch’io, vuol dire che lo sa Rifare altrimenti lo avrebbe già fatto prima.
Questa frase di Bruno Munari campeggiava minacciosa su una delle pareti di dacosanascecosa. Monito per quanti avrebbero detto: e che ci vuole?

Questi sono solo alcuni esempi dei pezzi prodotti da dacosanascecosa.
Il segreto è individuare l’oggetto sensibile e modificarlo lo stretto necessario perché diventi altro. Il segreto è togliere piuttosto che aggiungere. Semplificare. Eliminare tutto il superfluo per realizzare l’oggetto essenziale.
Il conoscere che una cosa può diventarne un’altra, è un tipo di conoscenza legata alla mutazione. La mutazione è l’unica costante della realtà.

In visita a dacosanascecosa Lella e Massimo Vignelli.

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