"Il percorso dell’Asse Mediano è l’occasione per un’indagine sulle perifericità diffuse del territorio metropolitano di Napoli. La chiave di lettura è quella degli scarti: l’ipotesi è che questo territorio rappresenti una zona rimossa della città, che ne raccoglie le parti escluse, ma che contiene allo stesso tempo materiali, soggetti e ragioni che la alimentano e che le appartengono. In un territorio complesso e sfuggente, nel quale i residui di grandi interventi di pianificazione - la 167, il post-terremoto, le grandi opere infrastrutturali - convivono con quelli di una moltitudine di iniziative individuali che dietro l’apparente assenza di regole celano razionalità spesso clandestine, la perifericità si manifesta in tutte le sue declinazioni e la rimozione è un’attitudine consolidata.
Se quello che scartiamo dice qualcosa su quello che scegliamo, allora gli scarti della nostra condizione urbana rivelano, forse, qualcosa del nostro progetto di città. In un momento nel quale il rapporto tra la città eletta e la città scartata è ad un punto di collisione ripartire dagli scarti può servire a mettere in discussione i confini tra due realtà che si immaginano contrapposte e a riconoscerne le relazioni, a ricostruire una storia ombra del territorio portando in luce il rimosso che spaventa la città visibile eppure le appartiene."
Scarti. Fuoriasse è uno dei lavori presentati la scorsa settimana da Fabrizia Ippolito, realizzato nell'ambito di Napoli Assediata, progetto che ha coinvolto artisti, ricercatori e architetti in una ricognizione sul territorio attraversato dall’Asse Mediano nella provincia di Napoli, a cura di Giuseppe Montesano e Vincenzo Trione e pubblicato da Pironti. Esposto già nell'aprile 2007 presso l'Istituto Cervantes di Napoli, da oggi sarà in mostra presso la Facoltà di Architettura di Napoli, nella sede di via Forno Vecchio (nel passaggio tra i due cortili).
La cura è di Fabrizia Ippolito, allestimento e grafica sono di Franco Lancio, questo il gruppo di lavoro: Loredana Troise (coordinamento), Caterina Alvino, Laura Bismuto, Annalisa Cassese, Antonello Colaps, Francesca Dell'Aversano, Anna Gallo, Alessia Natalizio, Vincenza Santangelo, Cristina Senatore, Salvatore Vano, Fabrizio Vatieri, Chiarastella Vigilante, Marco Scerbo e Michele Sommella.
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23.6.08
2.6.08
Letters are things, not picture of things
Sempre a proposito di caratteri. Questo è il lavoro con cui ho partecipato al concorso per il logo dell'associazione Architecture for Humanity. Eric Gill diceva che le lettere son cose, non rappresentazione di cose (Letters are things, not picture of things). Parafrandolo, in questo caso dico che le lettere son mattoni e non rappresentazione di mattoni (Letters are bricks, not picture of bricks). Il logo si è classificato tra i dieci finalisti.
24.5.08
Autovelox
Al corso si parla di caratteri tipografici. Questo è stato disegnato in occasione del primo Corso di Alta Formazione in Type Design, presso il Politecnico di Milano. Si chiama Autovelox. Il tema del corso era il disegno di un alfabeto completo per targhe automobilistiche. Il carattere utilizzato per le targhe automobilistiche deve rispettare particolari requisiti: ogni glifo deve essere perfettamente riconoscibile e distinguibile dagli altri, non devono esserci ambiguità come ad esempio tra O e D, difficilmente deve essere manomesso come ad esempio aggiungendo con un pennarello un’asta alla F per ottenere una E, deve essere un alfabeto monospaziato, deve considerare la “vista diagonale” ovvero deve garantire una buona leggibilità anche da un punto di vista laterale.
18.5.08
Rifiu.ti.amo!
Ci piace segnalare una lodevole iniziativa degli studenti di architettura dell'Associazione Archintorno. Due mesi di incontri ed attività sul'annosa questione dei rifiuti a Napoli e in Campania. 4 crediti ha contribuito all'iniziativa realizzando la grafica.
17.5.08
dacosanascecosa: un laboratorio di re/design
Son sicuro che Bruno Munari non me ne vorrà se uno dei miei lavori preferiti mutui il titolo di un suo libro. Da cosa nasce cosa inizia proprio con questa frase.
Produzione senza appropriazione
Azione senza imposizione di sé
Sviluppo senza sopraffazione.
Lao Tze (IV sec. a.C.)
dacosanascecosa è un laboratorio di re-design, aperto nel 2001 ad Avellino con Stefano Loffredo. Alla base del lavoro c’è fondamentalmente un guardare alle cose. La realtà è fatta di oggetti che non aspettano altro che di essere manipolati. Flessibilità, adattamento, spiazzamento d’uso sono concetti chiave. Non si parte da un’idea e la si realizza a tutti i costi.
Non si tratta di inventare nuovi oggetti, ma reinventare quelli esistenti allargandone le possibilità operative. Assioma è usare l'esistente. Questo è un concetto etico ed ecologico molto importante ai giorni nostri dove lo scopo è arrivare a produrre zero rifiuti. Occorre minimizzare i nuovi interventi nell’esistente. Prima di pensare a qualcosa di nuovo, occorre valorizzare quello che già c’è. Non è soltanto una questione ecologica. Si tratta di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Questa è una legge economica fondamentale. L’arredo del laboratorio, ad esempio, è stato realizzato con tavole in legno per casseforme. Il più delle volte esse sono state assemblate senza operare alcun taglio.
Usare l'esistente, come in questo caso. L’oggetto di partenza, la cazzuola, lo trovate in qualsiasi ferramenta: bisogna solo scegliere la forma che più vi piace. Ma questa è l’unica concessione che faremo alla decorazione. Osserviamola attentamente: c’è una piastra di ancoraggio, un gancio ed un supporto in legno. Tutto quanto occorre per realizzare un appendiabiti da parete. Mancano soltanto i fori e dei tasselli per ancorarlo alla parete. Beh, occorre fare un piccolo sforzo e non so quante punte di trapano bisogna rovinare! Il risultato è l’attaccazzuola. Anche il lavoro di definizione del nome del nuovo oggetto non è meno divertente del lavoro di rielaborazione dell’oggetto stesso e, peraltro, segue il medesimo principio, solo che la manipolazione, ora, è di tipo linguistico.
Se pensiamo che lo stesso oggetto, l’attaccazzuola, imprimendo una semplice rotazione, diventa una cacazzuola, ovvero un portarotolo igienico.
Dopo l’oggetto va pensato il packaging, anch'esso improntato alla massima economia. L’oggetto ha già un manico, ed è inutile prevederne un altro per il trasporto. La cosa da cui proteggersi è la piastra di metallo: due fogli di cartone chiudono a sandwich la piastra e i tre pezzi sono tenuti insieme da tre fermagli. A tutto questo, naturalmente, vanno aggiunti i tre tasselli necessari.
L’oggetto di origine di questa lampada è già meno riconoscibile. Come suggerisce il disegno, è un manicotto di lavatrice. Il materiale è una gomma morbida, isolante, perfettamente idonea al nuovo uso. Inoltre ha una particolare qualità tattile. Per questa ragione l'interruttore è stato inserito all’interno del tubo. Per l'accensione occorre tastarlo e cercare l’interruttore. La forma particolare, a manico d’ombrello, permette sia l’utilizzo da tavolo che da parete. Qui vediamo una performance della nostra lampada con l’attaccazzuola. Il nome della lampada, tubìornotobì, gioca parafrasando Amleto, chiedendosi se sia in fondo un tubo o no.
Prendiamo una trappola per topi. Quante lampade esistono in commercio con una gabbia per evitare di toccarne il bulbo incandescente? Anche in questo caso l’intervento è stato minimo. E' stato sufficiente fissare il portalampada alla gabbia. Lo sportellino di accesso alla trappola permette la sostituzione della lampadina quando necessario. Questa è la mickie/light. Di questa lampada ne esiste anche una versione da parete: la bat/light.
Questo è un filtro per la passata di pomodori. Poggia sul piano con la bocca più ampia che offre l'appoggio più stabile. Il portalampada è, invece, sistemato sulla bocca stretta del filtro che ha una forma tronco-conica. Un tappo di sughero per damigiane è la soluzione migliore per chiudere la bocca! Il sughero è un materiale isolante e facilmente lavorabile. Il nome è to/light e gioca sull’assonanza con tomate.
Al rastrello è stato tolto l’elemento metallico di raccordo con il manico in legno. Questo non serve. Servono, però, i buchi che permettono di fissare il rastrello alla parete. In questo modo diventa un gancio multiplo. Niente di più semplice. Esistono possibilità diverse di utilizzo. Può diventare, infatti, un portacalici in vetro; in questo caso, però, i denti del rastrello sono rivestiti con un tubo di gomma morbida trasparente, che impedisce al vetro di graffiarsi a contatto con il metallo. Il rastrello, posizionato ad una determinata altezza su di una mensola, diventa un fermalibri. Il nome, rake-up, gioca sulla traduzione inglese di rastrello e il termine up, che tiene su.
Questa borsa in gomma era un tappetino da bagno, anzi lo è ancora. La borsa si ottiene ripiegando su se stesso il tappetino tre volte. La chiusura laterale è realizzata con delle clips meccaniche che, sganciandosi, permettono di riportarlo alla condizione di partenza. Il manico, coerentemente, è realizzato con dei tappi da lavandino e un tubicino in gomma morbida trasparente, più piacevole al tatto, riveste la catenina. Bagno in inglese si dice bath e sostituendo la t con g si ottiene bagh, che significa più o meno borsa.
Per questo tipo di borse in stoffa ho adottato lo stesso principio: parto da pezzi prefiniti per limitare i tempi di lavorazione (tovaglioli, cuscini, grembiuli, tappetini, ecc.). La sfida è ridurre al minimo le cuciture. Prima era mia madre a cucirmele, ma da un pò di anni sono io stesso a realizzarle.
Questi sono semi da viaggio. Semi di ortaggi da spedire ad amici. Ho ripensato semplicemente il packaging. La serie si chiama piantala!, in risposta ad un verso di Fernando Pessoa che si lamenta di... non saper essere pratico, quotidiano, nitido, non sapere avere un posto nella vita, un destino fra gli uomini, un’opera, una volontà, un orto…
Quando qualcuno dice: questo lo so fare anch’io, vuol dire che lo sa Rifare altrimenti lo avrebbe già fatto prima.
Questa frase di Bruno Munari campeggiava minacciosa su una delle pareti di dacosanascecosa. Monito per quanti avrebbero detto: e che ci vuole?
Questi sono solo alcuni esempi dei pezzi prodotti da dacosanascecosa.
Il segreto è individuare l’oggetto sensibile e modificarlo lo stretto necessario perché diventi altro. Il segreto è togliere piuttosto che aggiungere. Semplificare. Eliminare tutto il superfluo per realizzare l’oggetto essenziale.
Il conoscere che una cosa può diventarne un’altra, è un tipo di conoscenza legata alla mutazione. La mutazione è l’unica costante della realtà.
In visita a dacosanascecosa Lella e Massimo Vignelli.
Produzione senza appropriazione
Azione senza imposizione di sé
Sviluppo senza sopraffazione.
Lao Tze (IV sec. a.C.)
dacosanascecosa è un laboratorio di re-design, aperto nel 2001 ad Avellino con Stefano Loffredo. Alla base del lavoro c’è fondamentalmente un guardare alle cose. La realtà è fatta di oggetti che non aspettano altro che di essere manipolati. Flessibilità, adattamento, spiazzamento d’uso sono concetti chiave. Non si parte da un’idea e la si realizza a tutti i costi.
Non si tratta di inventare nuovi oggetti, ma reinventare quelli esistenti allargandone le possibilità operative. Assioma è usare l'esistente. Questo è un concetto etico ed ecologico molto importante ai giorni nostri dove lo scopo è arrivare a produrre zero rifiuti. Occorre minimizzare i nuovi interventi nell’esistente. Prima di pensare a qualcosa di nuovo, occorre valorizzare quello che già c’è. Non è soltanto una questione ecologica. Si tratta di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Questa è una legge economica fondamentale. L’arredo del laboratorio, ad esempio, è stato realizzato con tavole in legno per casseforme. Il più delle volte esse sono state assemblate senza operare alcun taglio.
Usare l'esistente, come in questo caso. L’oggetto di partenza, la cazzuola, lo trovate in qualsiasi ferramenta: bisogna solo scegliere la forma che più vi piace. Ma questa è l’unica concessione che faremo alla decorazione. Osserviamola attentamente: c’è una piastra di ancoraggio, un gancio ed un supporto in legno. Tutto quanto occorre per realizzare un appendiabiti da parete. Mancano soltanto i fori e dei tasselli per ancorarlo alla parete. Beh, occorre fare un piccolo sforzo e non so quante punte di trapano bisogna rovinare! Il risultato è l’attaccazzuola. Anche il lavoro di definizione del nome del nuovo oggetto non è meno divertente del lavoro di rielaborazione dell’oggetto stesso e, peraltro, segue il medesimo principio, solo che la manipolazione, ora, è di tipo linguistico.
Se pensiamo che lo stesso oggetto, l’attaccazzuola, imprimendo una semplice rotazione, diventa una cacazzuola, ovvero un portarotolo igienico.
Dopo l’oggetto va pensato il packaging, anch'esso improntato alla massima economia. L’oggetto ha già un manico, ed è inutile prevederne un altro per il trasporto. La cosa da cui proteggersi è la piastra di metallo: due fogli di cartone chiudono a sandwich la piastra e i tre pezzi sono tenuti insieme da tre fermagli. A tutto questo, naturalmente, vanno aggiunti i tre tasselli necessari.
L’oggetto di origine di questa lampada è già meno riconoscibile. Come suggerisce il disegno, è un manicotto di lavatrice. Il materiale è una gomma morbida, isolante, perfettamente idonea al nuovo uso. Inoltre ha una particolare qualità tattile. Per questa ragione l'interruttore è stato inserito all’interno del tubo. Per l'accensione occorre tastarlo e cercare l’interruttore. La forma particolare, a manico d’ombrello, permette sia l’utilizzo da tavolo che da parete. Qui vediamo una performance della nostra lampada con l’attaccazzuola. Il nome della lampada, tubìornotobì, gioca parafrasando Amleto, chiedendosi se sia in fondo un tubo o no.
Prendiamo una trappola per topi. Quante lampade esistono in commercio con una gabbia per evitare di toccarne il bulbo incandescente? Anche in questo caso l’intervento è stato minimo. E' stato sufficiente fissare il portalampada alla gabbia. Lo sportellino di accesso alla trappola permette la sostituzione della lampadina quando necessario. Questa è la mickie/light. Di questa lampada ne esiste anche una versione da parete: la bat/light.
Questo è un filtro per la passata di pomodori. Poggia sul piano con la bocca più ampia che offre l'appoggio più stabile. Il portalampada è, invece, sistemato sulla bocca stretta del filtro che ha una forma tronco-conica. Un tappo di sughero per damigiane è la soluzione migliore per chiudere la bocca! Il sughero è un materiale isolante e facilmente lavorabile. Il nome è to/light e gioca sull’assonanza con tomate.
Al rastrello è stato tolto l’elemento metallico di raccordo con il manico in legno. Questo non serve. Servono, però, i buchi che permettono di fissare il rastrello alla parete. In questo modo diventa un gancio multiplo. Niente di più semplice. Esistono possibilità diverse di utilizzo. Può diventare, infatti, un portacalici in vetro; in questo caso, però, i denti del rastrello sono rivestiti con un tubo di gomma morbida trasparente, che impedisce al vetro di graffiarsi a contatto con il metallo. Il rastrello, posizionato ad una determinata altezza su di una mensola, diventa un fermalibri. Il nome, rake-up, gioca sulla traduzione inglese di rastrello e il termine up, che tiene su.
Questa borsa in gomma era un tappetino da bagno, anzi lo è ancora. La borsa si ottiene ripiegando su se stesso il tappetino tre volte. La chiusura laterale è realizzata con delle clips meccaniche che, sganciandosi, permettono di riportarlo alla condizione di partenza. Il manico, coerentemente, è realizzato con dei tappi da lavandino e un tubicino in gomma morbida trasparente, più piacevole al tatto, riveste la catenina. Bagno in inglese si dice bath e sostituendo la t con g si ottiene bagh, che significa più o meno borsa.
Per questo tipo di borse in stoffa ho adottato lo stesso principio: parto da pezzi prefiniti per limitare i tempi di lavorazione (tovaglioli, cuscini, grembiuli, tappetini, ecc.). La sfida è ridurre al minimo le cuciture. Prima era mia madre a cucirmele, ma da un pò di anni sono io stesso a realizzarle.
Questi sono semi da viaggio. Semi di ortaggi da spedire ad amici. Ho ripensato semplicemente il packaging. La serie si chiama piantala!, in risposta ad un verso di Fernando Pessoa che si lamenta di... non saper essere pratico, quotidiano, nitido, non sapere avere un posto nella vita, un destino fra gli uomini, un’opera, una volontà, un orto…
Quando qualcuno dice: questo lo so fare anch’io, vuol dire che lo sa Rifare altrimenti lo avrebbe già fatto prima.
Questa frase di Bruno Munari campeggiava minacciosa su una delle pareti di dacosanascecosa. Monito per quanti avrebbero detto: e che ci vuole?
Questi sono solo alcuni esempi dei pezzi prodotti da dacosanascecosa.
Il segreto è individuare l’oggetto sensibile e modificarlo lo stretto necessario perché diventi altro. Il segreto è togliere piuttosto che aggiungere. Semplificare. Eliminare tutto il superfluo per realizzare l’oggetto essenziale.
Il conoscere che una cosa può diventarne un’altra, è un tipo di conoscenza legata alla mutazione. La mutazione è l’unica costante della realtà.
In visita a dacosanascecosa Lella e Massimo Vignelli.
5.5.08
Presentarsi (E.01)
Il mio lavoro si esprime, solitamente, attraverso immagini e uso le parole quasi esclusivamente nella forma scritta. Sono architetto e mi sono formato a Napoli. Contemporaneamente agli studi di architettura ho sempre coltivato molteplici passioni tra le quali quella per la grafica. Grafica e architettura sono ambiti disciplinari molto prossimi, tuttavia la nostra facoltà non ritiene prioritari questi aspetti e continua ad ignorare l’importanza di una cultura della comunicazione grafica. Inutile dirvi che questo è un grave errore di sottovalutazione. Una copertina, una mascherina di un progetto sono essi stessi un progetto.Questo è il mio biglietto da visita, o meglio, i miei biglietti da visita.
Ne ho uno per ogni pretesto. Mi divertono. E mi diverto nel farli, il più delle volte ad amici.
Non vi nascondo che molti dei lavori che ho fatto mi son stati affidati sulla scorta del solo biglietto da visita. Questo per dirvi quanto sia importante la presentazione, in un lavoro.
Naturalmente non potete uscirvene solo con una buona presentazione, occorre anche fare un buon lavoro. A questo proposito, ecco cosa scrive Milton Glaser:
1. Quando un lavoro va oltre la sua destinazione pratica e inesplicabilmente ci commuove, lo definiamo un lavoro eccellente.
2. Definiamo un buon lavoro un lavoro concepito e realizzato con eleganza.
3. Definiamo semplicemente lavoro ciò che soddisfa con onestà e senza pretese le esigenze ad esso preposte.
4. Tutto il resto, tutto ciò che vi è di triste e scadente nella vita quotidiana, rientra nella definizione di cattivo lavoro.
La citazione è tratta dal suo Art is work, libro che con un po' di fortuna si può trovare anche su qualche bancarella a Port'Alba. Nella foto è Glaser che si "presenta", a sua volta, con una citazione: Amore è la constatazione estremamente difficile che qualcos'altro, a parte noi stessi, è reale...
La prima esercitazione del corso chiede a voi di presentarvi. Scrivendo un testo breve di sole 400 battute su voi stessi, dal quale estrarre quattro parole chiave. Scegliendo quattro immagini rappresentative di voi e/o di vostri lavori. Aggiungendo una citazione d'autore che abbia per voi un particolare significato. Il formato e l'impaginazione sono dati, per permettervi di concentrarvi solo sulla scelta dei materiali, e mettere alla prova la vostra capacità di sintesi. Realizzate il vostro bigliettone da visita, secondo queste indicazioni:
Ne ho uno per ogni pretesto. Mi divertono. E mi diverto nel farli, il più delle volte ad amici.
Non vi nascondo che molti dei lavori che ho fatto mi son stati affidati sulla scorta del solo biglietto da visita. Questo per dirvi quanto sia importante la presentazione, in un lavoro.
Naturalmente non potete uscirvene solo con una buona presentazione, occorre anche fare un buon lavoro. A questo proposito, ecco cosa scrive Milton Glaser:
1. Quando un lavoro va oltre la sua destinazione pratica e inesplicabilmente ci commuove, lo definiamo un lavoro eccellente.
2. Definiamo un buon lavoro un lavoro concepito e realizzato con eleganza.
3. Definiamo semplicemente lavoro ciò che soddisfa con onestà e senza pretese le esigenze ad esso preposte.
4. Tutto il resto, tutto ciò che vi è di triste e scadente nella vita quotidiana, rientra nella definizione di cattivo lavoro.
La citazione è tratta dal suo Art is work, libro che con un po' di fortuna si può trovare anche su qualche bancarella a Port'Alba. Nella foto è Glaser che si "presenta", a sua volta, con una citazione: Amore è la constatazione estremamente difficile che qualcos'altro, a parte noi stessi, è reale...
La prima esercitazione del corso chiede a voi di presentarvi. Scrivendo un testo breve di sole 400 battute su voi stessi, dal quale estrarre quattro parole chiave. Scegliendo quattro immagini rappresentative di voi e/o di vostri lavori. Aggiungendo una citazione d'autore che abbia per voi un particolare significato. Il formato e l'impaginazione sono dati, per permettervi di concentrarvi solo sulla scelta dei materiali, e mettere alla prova la vostra capacità di sintesi. Realizzate il vostro bigliettone da visita, secondo queste indicazioni:
4.5.08
La borsa di studio
22.4.08
Farsi capire
Cosa essenziale è farsi capire. Occorre esprimersi con chiarezza, esattezza e semplicità. La semplicità è il risultato visibile della complessità. I due termini non sono l’uno opposto dell’altro, ma si completano. Complesso non vuol dire complicato, semplice non vuol dire facile. Diciamo che qualcosa è complesso, quando possiede una struttura e un progetto che non è evidente, e che è soltanto possibile intuire o ricostruire. Per contro, la parte visibile di qualcosa di complesso ha una forma semplice e riconoscibile. La semplicità si ottiene se i nostri materiali sono prima pensati, progettati, strutturati. La semplicità non è mai casuale, si costruisce. Come?
1. Raccogliere. Reperire i materiali necessari al nostro lavoro: testi, immagini, diagrammi e ogni altra cosa può risultare attinente al tema.
2. Organizzare. Prima cosa è utile stilare una lista. Una lista confusa e disordinata di tutto quello che abbiamo trovato e che può essere utile. Una sorta di lista della spesa. Osservando la lista disordinata, le idee si fanno notare. Nel caos dei dati e delle informazioni, delle immagini e parole, le idee buone e utili al nostro scopo si fanno notare per associazione o per contrasto, cioè si attirano perché simili o si respingono perché opposte. A questo punto iniziamo a collegarle con linee, frecce e asterischi. Un ulteriore passo è quello di annotarle su un altro foglio raccogliendo in cerchi, quadrati, schemi le idee simili e quelle opposte. 3. Strutturare. Occorre preparare l’ordine, la gerarchia e l’articolazione degli argomenti. Scegliamo da quale punto della mappa partire, come sviluppare il lavoro e come concluderlo. Facciamo una scaletta numerata dei punti che tratteremo e in quale ordine. La comunicazione di un testo è più efficace se faremo precedere ogni paragrafo da un titolo.
Immagini tratte da Isolario. Un kit di salvataggio, di Franco Lancio.
1. Raccogliere. Reperire i materiali necessari al nostro lavoro: testi, immagini, diagrammi e ogni altra cosa può risultare attinente al tema.
2. Organizzare. Prima cosa è utile stilare una lista. Una lista confusa e disordinata di tutto quello che abbiamo trovato e che può essere utile. Una sorta di lista della spesa. Osservando la lista disordinata, le idee si fanno notare. Nel caos dei dati e delle informazioni, delle immagini e parole, le idee buone e utili al nostro scopo si fanno notare per associazione o per contrasto, cioè si attirano perché simili o si respingono perché opposte. A questo punto iniziamo a collegarle con linee, frecce e asterischi. Un ulteriore passo è quello di annotarle su un altro foglio raccogliendo in cerchi, quadrati, schemi le idee simili e quelle opposte. 3. Strutturare. Occorre preparare l’ordine, la gerarchia e l’articolazione degli argomenti. Scegliamo da quale punto della mappa partire, come sviluppare il lavoro e come concluderlo. Facciamo una scaletta numerata dei punti che tratteremo e in quale ordine. La comunicazione di un testo è più efficace se faremo precedere ogni paragrafo da un titolo.
Immagini tratte da Isolario. Un kit di salvataggio, di Franco Lancio.
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