26.5.08

Segni d'interpunzione

Un Tizio salì in cima al Colosseo e gridò: - Mi butto?
- Non è regolare, - gli fecero osservare i passanti. - Lei doveva metterci il punto esclamativo, non il punto interrogativo. Torni a casa a studiare la grammatica.
Qualche volta un errore di grammatica può salvare una vita.

Gianni Rodari, Favole minime, ne Il cane di Magonza.

24.5.08

Segni


- Qualunque cosa i segni possano evocare è già passata. Essi sono come le orme lasciate dagli animali. Ecco perché i maestri di meditazione rifiutano di accettare che la scrittura sia la soluzione definitiva. L’intenzione è quella di raggiungere l’essenza attraverso queste orme, queste lettere, questi segni. Ma la realtà in sé non è un segno, e non lascia tracce.
Non ci viene incontro per mezzo di lettere e parole. Noi possiamo procedere verso di essa seguendo quelle parole e quelle lettere a ritroso. Ma finché ci preoccupiamo dei simboli, delle teorie e delle opinioni, il principio ci sfugge.
- Ma se rinunciamo a simboli e opinioni, non restiamo abbandonati nel totale annullamento dell'essere?
- Sì.
Kimura Kyuho, Kenjutsu Fushigi Hen (L'ignoto nell'Arte della Scherma), 1768.

Autovelox


Al corso si parla di caratteri tipografici. Questo è stato disegnato in occasione del primo Corso di Alta Formazione in Type Design, presso il Politecnico di Milano. Si chiama Autovelox. Il tema del corso era il disegno di un alfabeto completo per targhe automobilistiche. Il carattere utilizzato per le targhe automobilistiche deve rispettare particolari requisiti: ogni glifo deve essere perfettamente riconoscibile e distinguibile dagli altri, non devono esserci ambiguità come ad esempio tra O e D, difficilmente deve essere manomesso come ad esempio aggiungendo con un pennarello un’asta alla F per ottenere una E, deve essere un alfabeto monospaziato, deve considerare la “vista diagonale” ovvero deve garantire una buona leggibilità anche da un punto di vista laterale.

Gli elementi dello stile tipografico


Esistono molti libri sulla tipografia, uno esemplare e che consiglio vivamente è Gli elementi dello stile tipografico di Robert Bringhurst, poeta e saggista, che si occupa di tipografia con la stessa sensibilità. Dalla sua prefazione: Se usate questo libro come una guida, abbondonate senza remore la strada quando volete. Questo è il modo corretto per seguire una strada: raggiungere nuovi punti di partenza scelti da soli. Rompete le regole, rompetele in bellezza deliberatamente e bene. Sono fatte per questo. La lettura è divertente e appassionante. All’interno del testo può capitare di leggere cose del tipo: Molti redattori editoriali nordamericani amano collocare virgole e punti prima delle virgolette e i due punti e punto e virgola fuori. In Inghilterra si preferisce collocare tutta la punteggiatura di fuori, insieme al latte e al gatto.

Il tesoro delle lettere


Una volta definiti i simboli grafici, fu abbandonato l’uso di fare nodi alle corde; una volta distinte le impronte d’uccello, venne creata la scrittura, rappresentazione della lingua parlata e dimora dell’espressione letteraria. Quando Cang Jie ebbe creato la scrittura, di notte i demoni piansero, e dal cielo piovvero chicchi di riso. (…) Quanto ai significati dei caratteri, vi sono differenze rispatto al passato. Nascono inoltre caratteri nuovi, altri cadono in disuso o vengono utilizzati in modo diverso. La forma da semplice si fa complessa, e mutano le nozioni di bello e di brutto. Il cuore affida i suoni alla parola, e la parola affida l’espressione ai caratteri. (…) Nel combinare in uno scritto i diversi caratteri occorre molto discernimento. Bisogna:
1. Fuggire le stranezze e le eccentricità;
2. limitare l’uso di caratteri graficamente simili;
3. Stare atteti alle ripetizioni;
4. equilibrare le forme semplici e le complesse.
Per stranezze ed eccentricità intendo l’uso di caratteri di forma curiosa e inconsueta. Nei versi di Cao Shu: “Come mi attira quel viaggio! Ma il mio cuore è così sensibile che non sopporta gli schiamazzi!”, i due ultimi caratteri sono talmente eccentrici che tutta la poesia ne soffre. (…) In una successione di frasi tutte di caratteri “magri” le linee appaiono esili e gracili; mentre in un testo tutto di caratteri “grassi” la grafia risulta densa e sovraccarica. Invece, se abilmente alternati, il semplice e il complesso risplendono come un prezioso filo di perle. (…) Se i caratteri si sostituiscono gli uni agli altri e si confondono, la scrittura si inceppa e non riesce a prendere il volo. Ma se il suono e il tratto sono chiari ed esatti, vola e danza, leggiadro il pennello.

Da Il tesoro delle lettere: un intaglio di draghi, trattato di retorica di Liu Xie, VI sec.

19.5.08

I segni della città: alfabeto urbano (E.04)

La città ci fornisce una fantastica raccolta di oggetti giustapposti, accostamenti di forme, materiali, texture, insegne, graffiti di ogni epoca. Proviamo ad osservare questi accostamenti, e a cogliere dei segni che hanno un significato nella nostra lingua. L’idea è di vedere gli oggetti di ogni giorno sotto una diversa prospettiva.

In rete stanno raccogliendo alfabeti urbani anche Maloupictures (l'immagine sopra è sua), Pixelkuh e Revi Kornmann su Flickr; Susheel Chandradhas, che ha assegnato un analogo compito ai suoi studenti e Lisa Reinermann, che ha fotografato il cielo:

Costruiamo un alfabeto urbano armati di macchina fotografica digitale andiamo alla ricerca di linee, profili, tessiture, ombre, parti di oggetti per creare il nostro anomalo font napoletano.

Ad ogni allievo/a è assegnata la ricerca di quante più lettere riesca a scoprire. Le foto, da salvare in formato jpeg, delle dimensioni 20x20 cm, ad una risoluzione di 300 dpi, devono essere consegnate il 26 maggio su pen-drive o cd. Ciascuna foto deve essere nominata con la lettera fotografata e il cognome (es. A.Esposito).

Elogio dell'imitazione

Tullio De Mauro, nel suo Guida all’uso delle parole. Parlare e scrivere semplice e preciso per capire e farsi capire, introduce delle questioni importanti che, naturalmente, non appartengono al solo codice linguistico, ma si rifanno a temi più generali di comunicazione:

"Inventare significa trovare con l’intelligenza, con l’ingegno, qualcosa di nuovo.
Tuttavia ogni invenzione dell’uomo può essere considerata una manipolazione imprevista dei materiali a disposizione. La creatività come invenzione. Quella che cambia i termini, manipolandoli e trasformandoli. Trasformare, alterandoli, i termini del problema, cambiare le regole del gioco: questo è inventare. Accanto a questa c’è un’altra creatività, rispettosa al massimo di termini e regole. E’ la creatività di chi si muove entro una tecnica data e ne sfrutta sapientemente le possibilità. Le due forme di creatività, quella inventiva e quella regolare sono entrambe preziose.
Tuttavia sempre si pratica il culto dell’originalità e della creatività. Una parola come imitatore è diventata, invece, un grave insulto. Ma se gli esseri umani non sapessero imitare e ripetere, nemmeno potrebbero imparare le regole di grammatica di una lingua. Per tutte le le specie, e anche l’umana, vivere e spravvivere significa prima di tutto saper ripetere e imitare. Combinare e inventare vengono dopo. Se vogliamo capirci e farci capire dobbiamo rassegnarci a essere poco originali. Ma anche l’imitazione e la ripetizione è a suo modo creativa. Chi imita e ripete lo fa necessariamente in condizioni diverse da quelle in cui si è prodotto il modello imitato e ripetuto."

18.5.08

I segni della città: facciamo testo (E.03)


Costruiamo un catalogo di parole. Un grande dizionario visuale napoletano. Armati di macchina fotografica digitale andiamo alla ricerca di insegne, graffiti, messaggi pubblicitari, che testimoniano la varietà e la fantasia dei paesaggio scritto napoletano. Qualche suggestione su The Visual Dictionary.

Ad ogni allievo/a è assegnata la ricerca di almeno dieci parole di senso compiuto (non nomi propri). Le foto, da salvare in formato jpeg, delle dimensioni 20x20 cm, ad una risoluzione di 300 dpi, devono essere consegnate il 17 maggio su pen-drive o cd. Ciascuna foto deve essere nominata con la parola fotografata e il cognome (es. casa.Esposito).

Rifiu.ti.amo!

Ci piace segnalare una lodevole iniziativa degli studenti di architettura dell'Associazione Archintorno. Due mesi di incontri ed attività sul'annosa questione dei rifiuti a Napoli e in Campania. 4 crediti ha contribuito all'iniziativa realizzando la grafica.

17.5.08

dacosanascecosa: un laboratorio di re/design

Son sicuro che Bruno Munari non me ne vorrà se uno dei miei lavori preferiti mutui il titolo di un suo libro. Da cosa nasce cosa inizia proprio con questa frase.

Produzione senza appropriazione
Azione senza imposizione di sé
Sviluppo senza sopraffazione.
Lao Tze (IV sec. a.C.)

dacosanascecosa è un laboratorio di re-design, aperto nel 2001 ad Avellino con Stefano Loffredo. Alla base del lavoro c’è fondamentalmente un guardare alle cose. La realtà è fatta di oggetti che non aspettano altro che di essere manipolati. Flessibilità, adattamento, spiazzamento d’uso sono concetti chiave. Non si parte da un’idea e la si realizza a tutti i costi.
Non si tratta di inventare nuovi oggetti, ma reinventare quelli esistenti allargandone le possibilità operative. Assioma è usare l'esistente. Questo è un concetto etico ed ecologico molto importante ai giorni nostri dove lo scopo è arrivare a produrre zero rifiuti. Occorre minimizzare i nuovi interventi nell’esistente. Prima di pensare a qualcosa di nuovo, occorre valorizzare quello che già c’è. Non è soltanto una questione ecologica. Si tratta di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Questa è una legge economica fondamentale. L’arredo del laboratorio, ad esempio, è stato realizzato con tavole in legno per casseforme. Il più delle volte esse sono state assemblate senza operare alcun taglio.

Usare l'esistente, come in questo caso. L’oggetto di partenza, la cazzuola, lo trovate in qualsiasi ferramenta: bisogna solo scegliere la forma che più vi piace. Ma questa è l’unica concessione che faremo alla decorazione. Osserviamola attentamente: c’è una piastra di ancoraggio, un gancio ed un supporto in legno. Tutto quanto occorre per realizzare un appendiabiti da parete. Mancano soltanto i fori e dei tasselli per ancorarlo alla parete. Beh, occorre fare un piccolo sforzo e non so quante punte di trapano bisogna rovinare! Il risultato è l’attaccazzuola. Anche il lavoro di definizione del nome del nuovo oggetto non è meno divertente del lavoro di rielaborazione dell’oggetto stesso e, peraltro, segue il medesimo principio, solo che la manipolazione, ora, è di tipo linguistico.
Se pensiamo che lo stesso oggetto, l’attaccazzuola, imprimendo una semplice rotazione, diventa una cacazzuola, ovvero un portarotolo igienico.
Dopo l’oggetto va pensato il packaging, anch'esso improntato alla massima economia. L’oggetto ha già un manico, ed è inutile prevederne un altro per il trasporto. La cosa da cui proteggersi è la piastra di metallo: due fogli di cartone chiudono a sandwich la piastra e i tre pezzi sono tenuti insieme da tre fermagli. A tutto questo, naturalmente, vanno aggiunti i tre tasselli necessari.
L’oggetto di origine di questa lampada è già meno riconoscibile. Come suggerisce il disegno, è un manicotto di lavatrice. Il materiale è una gomma morbida, isolante, perfettamente idonea al nuovo uso. Inoltre ha una particolare qualità tattile. Per questa ragione l'interruttore è stato inserito all’interno del tubo. Per l'accensione occorre tastarlo e cercare l’interruttore. La forma particolare, a manico d’ombrello, permette sia l’utilizzo da tavolo che da parete. Qui vediamo una performance della nostra lampada con l’attaccazzuola. Il nome della lampada, tubìornotobì, gioca parafrasando Amleto, chiedendosi se sia in fondo un tubo o no.
Prendiamo una trappola per topi. Quante lampade esistono in commercio con una gabbia per evitare di toccarne il bulbo incandescente? Anche in questo caso l’intervento è stato minimo. E' stato sufficiente fissare il portalampada alla gabbia. Lo sportellino di accesso alla trappola permette la sostituzione della lampadina quando necessario. Questa è la mickie/light. Di questa lampada ne esiste anche una versione da parete: la bat/light.
Questo è un filtro per la passata di pomodori. Poggia sul piano con la bocca più ampia che offre l'appoggio più stabile. Il portalampada è, invece, sistemato sulla bocca stretta del filtro che ha una forma tronco-conica. Un tappo di sughero per damigiane è la soluzione migliore per chiudere la bocca! Il sughero è un materiale isolante e facilmente lavorabile. Il nome è to/light e gioca sull’assonanza con tomate.

Al rastrello è stato tolto l’elemento metallico di raccordo con il manico in legno. Questo non serve. Servono, però, i buchi che permettono di fissare il rastrello alla parete. In questo modo diventa un gancio multiplo. Niente di più semplice. Esistono possibilità diverse di utilizzo. Può diventare, infatti, un portacalici in vetro; in questo caso, però, i denti del rastrello sono rivestiti con un tubo di gomma morbida trasparente, che impedisce al vetro di graffiarsi a contatto con il metallo. Il rastrello, posizionato ad una determinata altezza su di una mensola, diventa un fermalibri. Il nome, rake-up, gioca sulla traduzione inglese di rastrello e il termine up, che tiene su.
Questa borsa in gomma era un tappetino da bagno, anzi lo è ancora. La borsa si ottiene ripiegando su se stesso il tappetino tre volte. La chiusura laterale è realizzata con delle clips meccaniche che, sganciandosi, permettono di riportarlo alla condizione di partenza. Il manico, coerentemente, è realizzato con dei tappi da lavandino e un tubicino in gomma morbida trasparente, più piacevole al tatto, riveste la catenina. Bagno in inglese si dice bath e sostituendo la t con g si ottiene bagh, che significa più o meno borsa.
Per questo tipo di borse in stoffa ho adottato lo stesso principio: parto da pezzi prefiniti per limitare i tempi di lavorazione (tovaglioli, cuscini, grembiuli, tappetini, ecc.). La sfida è ridurre al minimo le cuciture. Prima era mia madre a cucirmele, ma da un pò di anni sono io stesso a realizzarle.
Questi sono semi da viaggio. Semi di ortaggi da spedire ad amici. Ho ripensato semplicemente il packaging. La serie si chiama piantala!, in risposta ad un verso di Fernando Pessoa che si lamenta di... non saper essere pratico, quotidiano, nitido, non sapere avere un posto nella vita, un destino fra gli uomini, un’opera, una volontà, un orto

Quando qualcuno dice: questo lo so fare anch’io, vuol dire che lo sa Rifare altrimenti lo avrebbe già fatto prima.
Questa frase di Bruno Munari campeggiava minacciosa su una delle pareti di dacosanascecosa. Monito per quanti avrebbero detto: e che ci vuole?

Questi sono solo alcuni esempi dei pezzi prodotti da dacosanascecosa.
Il segreto è individuare l’oggetto sensibile e modificarlo lo stretto necessario perché diventi altro. Il segreto è togliere piuttosto che aggiungere. Semplificare. Eliminare tutto il superfluo per realizzare l’oggetto essenziale.
Il conoscere che una cosa può diventarne un’altra, è un tipo di conoscenza legata alla mutazione. La mutazione è l’unica costante della realtà.

In visita a dacosanascecosa Lella e Massimo Vignelli.

16.5.08

Metodo Vignelli

Semanticamente corretto, ricercare il significato reale e i segni corretti che denotano l'oggetto su cui state lavorando.
Sintatticamente coerente. Ogni dettaglio deve essere coerente con se stesso e con l'insieme. Nessun elemento preso in prestito. La lingua è solo una e ogni particolare deve parlare la stessa lingua.
Pragmaticamente comprensibile. Diversamente il design fallisce indipendentemente da quanto possa essere bello. Il design non è arte, il design deve esprimere un senso e questo deve essere comprensibile universalmente.

Queste frasi sono tratte dal volume di Lella e Massimo Vignelli, Design is one.
Perchè Design is one, lo spiega Massimo Vignelli in questa lunga e interessante intervista (pdf).

Forza ed eleganza, questi i caratteri della grafica (italiana), spiega Vignelli; forza ed eleganza per esprimere i contenuti, per far si che possano parlare chiaro, nitido, diritto, con garbo e nerbo. La minima forma utile nasce dal materiale, dalla sua complessione intrinseca; il progettista deve saperne discernere la struttura, scrutarne la complessità, ascoltare per orchestrarla, per organizzare l'informazione in modo responsabile ed efficace, razionale e fungibile. Imparare dalle cose, non imporre forme a priori. Servono: tempo e passione, dedizione e impegno, chi ne è avaro non ci si azzardi. Il resto lo si puo ben lasciare agli artisti.

In questo video, Massimo Vignelli parla (in inglese) della sua mappa del metrò di New York.

15.5.08

Imparare il metodo

Metodo, ancora metodo!
Dall’Enciclopedia della pittura cinese. Gli insegnamenti della pittura del giardino grande come un granello di senape, di Wang An-chieh di Hsiu-shui:

Nella prefazione Lu Ch'Ai dice: Tra quanti studiano l’arte pittorica, alcuni anelano a ottenere effetti elaborati, altri preferiscono la semplicità. Né la complessità né la semplicità sono di per se stesse sufficienti.
Taluno aspira alla destrezza e alla rapidità, talaltro a essere scrupolosamente attento. Né la rapidità né la coscienziosità sono sufficienti. Alcuni attribuiscono grande valore al metodo, altri menano vanto di saperne fare a meno. Non fruire di un metodo è deplorevole, ma dipenderne totalmente è anche peggio. Occorre innanzitutto apprendere a osservare rigorosamente le regole, e successivamente imparare a modificarle in conformità alla propria capacità e intelligenza. L’esito finale consiste nel dare l’impressione di non avere metodo.

Se aspirate a fare a meno del metodo, dovete imparare il metodo.
Se aspirate alla facilità, dovete lavorare con accanimento.

Se aspirate alla semplicità, dovete imparare a fondo la complessità.


Questo Trattato di pittura è organizzato secondo Sei Canoni, Sei Fondamentali, Sei Qualità, Tre Errori e Dodici Cose Da Evitare. Riporto qui solo Le Cose Da Evitare. Possono ritornare utili, anche se non avete intenzione di dedicarvi alla pittura cinese:

1. Composizioni disarmoniche e sovraffollate
2. Mancanza di distinzione tra lontananza e vicinanza
3. Montagne senza il Ch’i, il palpito della vita.
4. L’acqua senza l’indicazione della sua sorgente.
5. Scenari mancanti di luoghi resi inaccessibili dalla natura
6. Sentieri senza indicazioni dell’inizio e della fine.
7. Pietre e rocce con una sola faccia.
8. Alberi che abbiano meno di quattro rami principali.
9. Figure distorte in modo innaturale.
10. Edifici e padiglioni ubicati in modo errato.
11. Mancanza di effetti di foschia o di cielo sereno.
12. Mancanza di metodo nell’applicazione del colore

14.5.08

Cogito, Ergo Sum


Sempre il metodo. Munari all’inizio del suo Da cosa nasce cosa riporta queste preziose regole fissate da René Descartes nel 1637 che, pur non arrivando a formulare una definizione esplicita di metodo, stabilisce come orientare il corretto uso dell’intuito e della deduzione, i due unici strumenti di conoscenza.

Le quattro regole cartesiane

La prima era di non accogliere mai nulla per vero che non conoscessi esser tale per evidenza: di evitare, cioè, accuratamente la precipitazione e la prevenzione; e di non comprendere nei miei giudizi nulla di più di quello che si presentava così chiaramente e distintamente alla mia intelligenza da escludere ogni possibilità di dubbio.

La seconda era di dividere ogni problema in tante parti minori quante fosse possibile e necessario per meglio risolverlo.

La terza, di condurre con ordine i miei pensieri, cominciando dagli oggetti più semplici e più facili a conoscere, per salire a poco a poco, come per gradi, sino alla conoscenza dei più complessi; e supponendo un ordine tra quelli di cui gli uni non procedono naturalmente gli altri.

In fine, di far dovunque enumerazioni così complete e revisioni così generali da esser sicuro di non aver omesso nulla.

12.5.08

Da cosa nasce cosa: la ricetta di Bruno Munari

La scorsa volta, la nostra amica Arianna ha portato a lezione, per la nostra gioia, una torta Caprese! Abbiamo apprezzato molto e cogliamo l’occasione per introdurre, a proposito, qualche concetto sulla metodologia progettuale, tratto da Da cosa nasce cosa di Bruno Munari.
Il metodo progettuale non è altro che una serie di operazioni necessarie, disposte in un ordine logico dettato dall’esperienza. Il suo scopo è giungere al massimo risultato col minimo sforzo.
Progettare una torta caprese o la terrina in cui cuocerla, richiede l’uso di un metodo che aiuterà a risolvere il problema. L’importante è che le operazioni siano fatte seguendo l’ordine dettato dall’esperienza. In generale, non è bene progettare senza metodo, pensare in modo artistico cercando subito un’idea senza prima aver fatto una ricerca per documentarsi su ciò che è già stato fatto di simile a quello che si deve progettare. Ci sono persone che di fronte al fatto di dover osservare delle regole per fare un progetto, si sentono bloccate nella loro creatività. Creatività non vuol dire improvvisazione senza metodo. La serie di operazioni del metodo progettuale è fatta di valori oggetti che diventano strumenti operativi nelle mani di progettisti creativi. Valori oggettivi sono, naturalmente, valori riconosciuti da tutti come tali. Il metodo progettuale non è qualcosa di assoluto e di definitivo; è qualcosa di modificabile se si trovano altri valori oggettivi che migliorano il processo. E questo fatto è legato alla creatività del progettista che, neell’applicare il metodo, può scoprire qualcosa per migliorarlo. Quindi le regole del metodo non bloccano la personalità del progettista, ma anzi lo stimolano a scoprire qualcosa che, eventualmente, potrà essere utile anche agli altri.

E’ bene perciò fare subito una distinzione tra il progettista professionista, che ha un metodo progettuale, grazie al quale il suo lavoro viene svolto con precisione e sicurezza, senza perdite di tempo; e il progettista romantico che ha un’idea “geniale” e che cerca di costringere la tecnica a realizzare qualcosa di estremamente difficoltoso, costoso e poco pratico ma bello. Lasciamo quindi da parte questo secondo tipo di progettista che, oltre tutto, non accetta consigli e aiuti da nessuno!

9.5.08

Bruno Munari, chi fa impara

Lunedì prossimo a lezione parleremo di Bruno Munari. Nel 1992 ho assistito ad una sua lezione di design che si tenne ad Architettura, a Venezia. Ironico, geniale e provocatorio, incredibilmente aveva già 84 anni. Munari, citando un detto giapponese, diceva: "chi ascolta dimentica, chi vede ricorda, chi fa impara". Fu un incontro indimenticabile. Anche perchè presi molti appunti. Durante la lezione fu girato questo video, del quale commenteremo assieme alcune parti. Portate il taccuino!

Il metodo del "fare per capire" è alla base dei laboratori didattici di Munari, ora portati avanti dall'associazione a lui intitolata. Assieme al MUBA, l'associazione ha curato Vietato non toccare, mostra per bambini ispirata alle opere e al metodo Munari, in corso alla Città della scienza di Napoli.

6.5.08

I segni della città: numeri napoletani (E.02)

A Napoli fu deciso di assegnare dei nomi alle strade e dei numeri civici solo nel 1792, in ritardo rispetto ad altre città d’Italia. Prima le strade per lo più non avevano targhe toponomastiche, solo i privati e gli ordini religiosi indicavano le loro proprietà con targhe, stemmi o iniziali, seguiti da un numero progressivo. I nomi di piazze, strade e vichi dovevano essere indicati con cartelli della lunghezza di tre palmi e mezzo (il palmo era una misura di lunghezza variabile, intorno ai 25 cm), alti due palmi, e il numero civico doveva essere segnato di color negro in un mattone inverniciato, di fondo bianco, girato di giallo.La città è una miniera di segni. Proviamo a collezionarli, creando delle raccolte tematiche. Costruiamo un catalogo di numeri. Un grande tabellone della tombola. Armati di macchina fotografica digitale andiamo alla ricerca di 90 numeri che testimonino la varietà e la fantasia dei numeri civici napoletani. Ogni allievo/a deve consegnare una sequenza di 10 foto di numeri assegnati. Ogni foto sarà in formato jpeg, 20x20 cm, 300 dpi, su pen-drive o cd. Ciascuna foto deve essere nominata con il numero raffigurato e il cognome (es. 01.Esposito).

In rete, una sequenza di numeri creata collettivamente, arrivata al numero 654, e una raccolta di numeri collettiva, arrivata a più di 8000. Con altri numeri trovati su flickr, si può invece giocare al sudoku!

5.5.08

Presentarsi (E.01)

Il mio lavoro si esprime, solitamente, attraverso immagini e uso le parole quasi esclusivamente nella forma scritta. Sono architetto e mi sono formato a Napoli. Contemporaneamente agli studi di architettura ho sempre coltivato molteplici passioni tra le quali quella per la grafica. Grafica e architettura sono ambiti disciplinari molto prossimi, tuttavia la nostra facoltà non ritiene prioritari questi aspetti e continua ad ignorare l’importanza di una cultura della comunicazione grafica. Inutile dirvi che questo è un grave errore di sottovalutazione. Una copertina, una mascherina di un progetto sono essi stessi un progetto.Questo è il mio biglietto da visita, o meglio, i miei biglietti da visita.
Ne ho uno per ogni pretesto. Mi divertono. E mi diverto nel farli, il più delle volte ad amici.
Non vi nascondo che molti dei lavori che ho fatto mi son stati affidati sulla scorta del solo biglietto da visita. Questo per dirvi quanto sia importante la presentazione, in un lavoro.
Naturalmente non potete uscirvene solo con una buona presentazione, occorre anche fare un buon lavoro. A questo proposito, ecco cosa scrive Milton Glaser:

1. Quando un lavoro va oltre la sua destinazione pratica e inesplicabilmente ci commuove, lo definiamo un lavoro eccellente.
2. Definiamo un buon lavoro un lavoro concepito e realizzato con eleganza.
3. Definiamo semplicemente lavoro ciò che soddisfa con onestà e senza pretese le esigenze ad esso preposte.
4. Tutto il resto, tutto ciò che vi è di triste e scadente nella vita quotidiana, rientra nella definizione di cattivo lavoro.

La citazione è tratta dal suo Art is work, libro che con un po' di fortuna si può trovare anche su qualche bancarella a Port'Alba. Nella foto è Glaser che si "presenta", a sua volta, con una citazione: Amore è la constatazione estremamente difficile che qualcos'altro, a parte noi stessi, è reale...
La prima esercitazione del corso chiede a voi di presentarvi. Scrivendo un testo breve di sole 400 battute su voi stessi, dal quale estrarre quattro parole chiave. Scegliendo quattro immagini rappresentative di voi e/o di vostri lavori. Aggiungendo una citazione d'autore che abbia per voi un particolare significato. Il formato e l'impaginazione sono dati, per permettervi di concentrarvi solo sulla scelta dei materiali, e mettere alla prova la vostra capacità di sintesi. Realizzate il vostro bigliettone da visita, secondo queste indicazioni:

4.5.08

La borsa di studio


Agli allievi/e del corso 4 crediti è assegnata una borsa di studio: comoda, in tela, dal design esclusivo, che li accompagnerà per tutta la durata del corso. A loro spetta riempirla di contenuti. Buon lavoro!